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Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti - Testata per la stampa

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Paolo Sarpi , la reliquia laica custodita dall'Istituto Veneto

Paolo Sarpi , la reliquia laica custodita dall'Istituto Veneto
Ampolla con l'ulna dell'avambraccio destro di Paolo Sarpi

21 - 29 marzo 2015, Atrio di Palazzo Loredan

Nel corso dell'adunanza accademica dell'Istituto Veneto di sabato 21 marzo,  il prof. Gino Benzoni  ha tenuto la conferenza Due parole sul Sarpi
Per l'occasione la reliquia laica di fra Paolo Sarpi  è stata esposta nell'atrio di  palazzo Loredan, dove rimarrà fino al 29 marzo.

Testo di Carlo Urbani, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti 
Agnosco stilum romanae curiae!  "Riconosco la lama della Curia romana", avrebbe sussurrato fra Paolo Sarpi la sera del 5 ottobre 1607 quando cinque sicari sul ponte di Santa Fosca attentarono alla sua vita, procurandogli una ferita alla testa. E con il termine "stilum" alludeva anche al modo di ridurre al silenzio gli avversari, lo stile, appunto, della Curia papale.

Uomo scomodo per la Chiesa della Controriforma, il frate servita, amico di scienziati e teologi inquieti, aperto sostenitore delle prerogative dello Stato sulle materie ecclesiastiche e vigile censore delle improprie invasioni di campo della Chiesa nelle questioni di Stato. Difficile ribattere ai suoi pareri (i consulti) con i quali difende la Repubblica di San Marco, difficile eliminarlo, anche fisicamente, protetto da amici ed estimatori, reso intoccabile fin quasi da un'aura sacrale. Più facile far scendere su di lui l'oblio della memoria, una volta compiuta l'esistenza terrena, la notte tra il 14 e 15 gennaio 1623: deliberato un busto da parte del Senato veneziano, e a questo riguardo incaricato Gerolamo Campagna, concepito un ricordo memorabile dal discepolo fra Fulgenzio Micanzio, avviata la raccolta di fondi per un monumento da parte del convento veneziano dei Servi di Maria, ma niente di tutto ciò messo in opera "per quei motivi che le regole di buona prudenza non vogliono manifestati e che voi di facile immaginar potete", scriverà Giusto Nave (autore del Fra Paolo giustificato) nel 1756. Segreto, allora, il luogo della sepoltura sotto l'altare dell'Addolorata nella chiesa dei Servi, tanto che nel breve volgere di tempo, se ne perde la memoria fino al 2 giugno 1722, quando lavori di manutenzione all'altare riportano alla luce un cadavere presto identificato con quello del teologo, anche per la presenza di tracce dell'attentato nel cranio. E allora, nuovamente, clamore e inquietudine, devozione e sospetti si alternano intorno al cadavere del frate, il quale arriva anche ad emanare odore di santità, soprattutto dopo che viene esposta una tabella, per grazia ricevuta, voluta da tale Elisabetta Gabrielli, liberata per intercessione di fra Paolo da una grave infermità del braccio.

Vani i tentativi operati da Roma, tramite la Congregazione del Sant'Ufficio, il nunzio a Venezia e la Procura generale dell'Ordine dei servi di Maria, per far sì che il corpo venga riseppellito e confuso con altri cadaveri. A un secolo di distanza dall'interdetto del 1606, Sarpi continua a dividere ancora la Sede Apostolica e la Repubblica veneziana, alla quale, tuttavia, rimangono ancora pochi anni. Arrivano i francesi e cambiano il volto alla città; vittime predilette le chiese che vengono spogliate dei capolavori d'arte, in alcuni casi anche demolite e tra queste, la chiesa dei Servi, a Cannaregio, in parte abbattuta "più per viste private che per pubblico avviso", scriverà Emanuele Antonio Cicogna. Nel 1828 ne vengono buttate giù le ultime pareti, corrispondenti alla cappella dell'Addolorata e all'operazione assistono anche alcuni rappresentanti del Comune, tra i quali lo stesso Cicogna, che ne darà pubblico resoconto così come del reperimento del corpo del frate servita e la sua definitiva traslazione nel cimitero comunale nell'isola di San Michele. Non tutto il corpo di fra Paolo, però, viene tumulato nella nuova destinazione, perché l'ulna dell'avambraccio destro vengono tenute da Giovanni Casoni, "ingegnere e architetto delle fabbriche marittime e dei lavori idraulici", chiuse in un'ampolla sigillata con ceralacca e conservate in forma di "reliquia laica". 

Come in vita, anche in morte il braccio del frate sembra non voler restare fermo, ma continuare a muoversi, irrequieto: nel 1854 l'ingegner Casoni lo cede a Emanuele Cicogna, il quale, qualche anno dopo, nel 1867, sentendo prossima la fine, ne fa dono al Reale Istituto Veneto, permettendo così a Sarpi di tornare a Palazzo Ducale, dove ha sede l'istituzione accademica veneziana. Ma qui non ci sono più consulti da scrivere, non c'è più conflitto tra Venezia e Roma. Ora il braccio, inanimato, può essere esibito, messo in mostra, ostentato.

 
 
 
 
 
 



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